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home> psicologia > anoressia, rifiuto radicale di mangiare

Anoressia, il rifiuto radicale di mangiare.
Patologia del comportamento alimentare.

Il rifiuto radicale di mangiare è la caratteristica principale dell'anoressia e provoca una grave riduzione del peso corporeo rispetto al peso ponderale registrato prima dell'insorgenza del disturbo. La quantità di cibo commestito è diminuita così rapidamente e drasticamente che la stessa vita del paziente è a rischio, il tasso di mortalità é circa del 10%. La popolazione di sesso femminile è la più colpita, in aggiunta alla perdita di peso si registrano altri sintomi: amenorrea, vomito, costipazione, uso e abuso di lassativi e diuretici. Le energie appaiono stranamente conservate nonostante il quadro clinico per effetto di una conseguente inibizione vagale, associata a ipotensione, bradicardia e ridotta gittata cardiaca. Nelle situazioni più gravi si riscontrano: ipoproteinemia, alterazioni elettrolitiche e formazione di edema.
Dal punto di vista psichico si osserva uno squilibrio tra la condizione cachettica (La cachessia, dal greco cattiva condizione, è una grave forma di deperimento organico, caratterizzata da progressivo deterioramento di tutte le funzioni metaboliche, associata ad un bilancio azotato negativo, che significa riduzione del tessuto muscolare) del corpo e l'iperattività psicomotoria delle anoressiche, che frequentemente si sottopongono a stressanti allenamenti sportivi, anche se le condizioni generali sono veramente compromesse. La ricerca costante dell'efficienza fisica e il forte controllo degli impulsi consente un controllo e una padronanza singolare del corpo, usato, abusato e non vissuto e amato. Ogni attività utile a perdere peso e/o consumare energia rappresenta l'obiettivo ossessivo delle pazienti anoressiche. Si associa un fenomeno di alterazione percettiva, Slade e Russel osservano nelle pazienti anoressiche una distorta immagine del proprio corpo, soprattutto nel valutare in eccesso la larghezza. Pur essendo magrissime, si percepiscono grasse. Dal punto di vista relazionale è alterata la capacità di stabilire contatti umani, che fa sembrare le pazienti fredde, distaccate e dai modi frettolosi. Completa il quadro clinico il profondo rifiuto di accettare la patologia in atto, ostinatamente definiscono normale la loro condizione e ad ogni ulteriore calo di peso reagiscono con soddisfazione e fierezza.

Le pazienti anoressiche appartengono abitualmente a famiglie del ceto medio, sono figlie uniche, oppure in presenza di fratelli affermano di essere considerate inferiori a loro (Jores 1976). Nell'infanzia sono state bambine belle, brave e buone, hanno dimostrato un buon adattamento sociale (anche eccessivo), coscienziose, obbedienti fino alla sottomissione, sono molto intelligenti e ottime studentesse. I loro interessi si orientano verso argomenti intellettuali, i loro ideali sono ascetici. Pare che gli impatti traumatici più importanti dal punto di vista psicodinamico riguardino l'inizio e il termine dello sviluppo psicosessuale, precisamente la fase schizoide e la fase rigida. Infatti, il disturbo alimentare non di rado è scatenato in concomitanza con la prima esperienza sessuale, che la paziente non riesce ad elaborare e le appare minacciosa. Si aggiunge allo schema psicodinamico un legame simbiotico con la madre, associato al desiderio/bisogno forte e ambivalente di prendere le distanze da lei (Ziolko 1985). Il conflitto interiore si manifesta attraverso due canali. Da una parte esse rivolgono l'energia autodistruttiva verso se stesse come punizione per il desiderio di separarsi dalla madre, dall'altra, utilizzano il rifiuto del cibo come elemento utile a ricevere attenzione, premure e affetto. Se l'ambiente frustra e non soddisfa il suo bisogno di premure e affetto, la sua energia si canalizza con l'obiettivo di dare preoccupazione e senso di impotenza, in primis alla madre e poi agli altri membri della famiglia. La mancanza di attenzione, premure e affetto genera nell'anoressica un "demone" energizzato dalla sete di controllo su tutti gli altri membri della famiglia: "se non mi amate, vi punisco controllandovi". Quando ospedalizzate, queste pazienti tentano di trasferire il modello relazionale sul personale della clinica. L'anoressia cronica crea un orrore rappresentato da uno scheletro che cammina. La loro affermazione è: "voglio rendermi invisibile, voglio sparire", si tratta di una illusione, del loro modo di porsi al centro delle situazioni familiari. Questa invocazione disperata è il risultato di una profonda sofferenza per l'impossibilità di ottenere affetto ma solo controllo, in particolar modo dalla madre. Spesso la madre non riesce a dare realmente affetto e attenzione e non è nemmeno preparata a concedere alla figlia la libertà che le occorre. Per la ragazza scomparire rimane l'unica via di fuga dal questa tenaglia di ambivalenza che la opprime. Paradossalmente è proprio questo desiderio di autosufficienza che nella sua estrema conclusione logica porta all'autodistruzione. Clauser (1976) ha definito l'anoressia mentale una forma cronica di suicidio.

La terapia non si limita al solo profilo psicodinamico della paziente, negli ultimi anni c'è stata la tendenza a dedicare attenzione alle interazioni delle relazioni nella famiglia della paziente. L'atteggiamento di vita generale che prevale in queste famiglie è abitualmente orientato al perfezionismo, all'ambizione e al successo. I conflitti emotivi e la loro gestione sono fermamente negati perché nessun membro della famiglia sente di poter elaborare soluzioni adeguate.
(Minuchin 1977 - 1983) ha indicato le principali caratteristiche comportamentali di queste famiglie: coinvolgimento complesso, eccesso di vigilanza, tendenza ad evitare conflitti, caparbietà, coinvolgimento dei figli nelle liti dei genitori. I sintomi dell'anoressia mentale per Minuchin rappresentano una lotta di potere nella famiglia contro i genitori nel contesto di una relazione molto intricata, lotta in cui il corpo della paziente rappresenta "l'ultima trincea" per mantenere una certa autonomia verso le pressanti richieste dei genitori.

Per meglio chiarire i sintomi nell'ambito del contesto familiare, Selvini-Palazzoli commenta:

In un sistema in cui ogni tentativo di comunicare è destinato probabilmente a incontrare un rifiuto, il rifiuto di mangiare appare totalmente armonizzato allo stile di interazione della famiglia. Esso si conforma soprattutto alla forma mentale di tipo espiatorio nel gruppo, per il quale la sofferenza sembra essere la mossa vincente.

La famiglia é in generale dominata da una figura autoritaria femminile, che può essere la madre o la nonna. Il padre é escluso dalla sfera emotiva della famiglia ed é estromesso o sminuito dalla madre, apertamente o con altri sistemi. Il padre generalmente reagisce ritirandosi ancora di più dalla scena, con il risultato che la madre pensa di dover consolidare e ampliare la propria posizione di dominio. Wirsching e Stierlin (1982) indicano che i tratti caratteristici delle famiglie con una figlia anoressica sono rappresentati da aspettative eccessive da parte dei genitori, un ideale familiare di altruismo che suscita una corrispondente competitività tra  i membri della famiglia (B. Luban - Plozza W. Poldinger F. Kroger, Il malato psicosomatico e la sua cura, Astrolabio, Roma, 1992, parte II° - pag. 75).

Nella psicoterapia bioenergetica è importante, per gradi, con profondo rispetto riguardo i tempi della paziente, costruire il grounding, offrire la possibilità di abbandonare la testa nelle mani del terapeuta per sperimentere quella sensazione di abbandono, sostegno e sicurezza che le è tanto mancata e della quale ha un bisogno vitale. Occorre con pazienza e comprensione, saper attendere che la fiducia e il legame paziente/terapeuta si strutturi con i tempi della paziente, successivamente insegnare con modalità bioenergetiche e in modo simbolico a esprimere il no, come autoaffermazione e come confine. Il tratto simbiotico è molto potente, usa l'altro come scudo e non vuole separarsi. Non ha formato il suo sé se non in simbiosi con qualcun altro.  Il confine e il no espressivo rappresentano l'alternativa a dover scomparire per paura della simbiosi patologica, nella sua vita l'anoressica ha sempre detto si a tutto, anche abusando di se, l'unico no è stato espresso con forza al cibo. La paziente ha bisogno di potersi riappropriare della gamma delle opportunità, lasciando fluire l'energia e allentando le tensioni croniche.

 

 

Dott. Cosimo Aruta
Psicologo, Psicoterapeuta, Analista Bioenergetico
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Lombardia con il n° 12147

 

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