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I modelli evolutivi
nell’organizzazione della personalità
I terapeuti bioenergetici tendono a fornire una valutazione
globale quanto più precocemente possibile nella transazione
terapeutica, per stabilire se la struttura di carattere del
paziente sia essenzialmente nevrotica, borderline o psicotica.
Al termine di questa distinzione fondamentale, il
terapeuta bioenergetico può determinare Il
grado di
narcisismo
e quale o quali tipo/i di carattere/i
sarà/saranno oggetto della psicoterapia: schizoide, orale,
psicopatico, masochista o rigido. Considerando che per l’ultima
categoria caratteriale, la più evoluta, sono assenti le
dimensioni più gravi: “borderline e psicotica”.
Le persone vulnerabili alla psicosi sono da considerare
psicologicamente fissate ai problemi della fase simbiotica
precoce, le persone con organizzazione borderline sono riconoscibili
dalla loro preoccupazione su temi di separazione-individuazione;
coloro che hanno una struttura nevrotica possono essere
utilmente descritti in termini più edipici. (Nancy McWilliams, La Diagnosi Psicoanalitica, Astrolabio, Roma,
1999, parte I° - pag. 72)
Caratteristica della struttura nevrotica di personalità
Le persone con una struttura del carattere più sana possiedono
anche un senso integrato della propria identità, il loro
comportamento è coerente e presentano un’esperienza interiore di
continuità temporale del sé. Nella descrizione di se stesse non
manifestano particolari difficoltà a trovare le parole, sono in
grado di delineare il proprio temperamento a livello generale, i
propri gusti, le proprie convinzioni, le abitudini, i valori, le
qualità ed i difetti, in una sensazione di stabilità. Alla
richiesta di descrivere altri importanti per la loro vita, quali
i genitori, i fratelli o i partner d’amore, sembrano cogliere le
qualità che caratterizzano la personalità. Sono in contatto con
la realtà, non sono inclini a interpretazioni allucinatorie o
deliranti dell’esperienza ed hanno scarso bisogno di distorcere
le cose per assimilarle. Ad esempio, un individuo con tratti
orali del carattere e organizzazione nevrotica sarà disposto a
prendere in considerazione la possibilità che i suoi bisogni di
vicinanza e la sua paura dell’abbandono derivino da una
disposizione interna alla voracità nelle relazioni.
Al contrario, pazienti orali a livello psicotico o borderline
eserciteranno una forte pressione sul terapeuta perché confermi
la loro convinzione che le difficoltà di cui soffrono nascono
dall’esterno, in modo che il terapeuta ammetta che sono gli
altri ad avercela con loro. In assenza di tale conferma avranno
paura di non essere al sicuro con il terapeuta. Allo stesso modo
gli ossessivi di tipo nevrotico ammettono che i loro rituali
ripetitivi non hanno senso, ma sono altrettanto consapevoli di
provare ansia se non li realizzano. Gli ossessivi borderline e
psicotici sono invece sinceramente convinti di essere protetti
da questi rituali e frequentemente sviluppano elaborate
razionalizzazioni per spiegarlo.
Ad un livello nevrotico la percezione da parte del terapeuta è
di una buona alleanza di lavoro. Emerge fin dalle prime sedute
la sensazione di essere “dalla stessa parte” nel rispetto dei
ruoli: uno è l’esperto, l’altro un apprendista volenteroso.
Per questo motivo il controtransfert del terapeuta,
indipendentemente dalla valenza positiva o negativa, non sarà
mai troppo intenso. Il nevrotico non suscita né la compulsione a
salvare, né il desiderio di concludere il rapporto nel corso
dell’esperienza terapeutica.
Caratteristica della struttura borderline di personalità
Le persone con organizzazione borderline di personalità sono
inclini all’impiego di difese primitive, come il diniego,
l’identificazione proiettiva e la scissione. In un’intensa
condizione regressiva si avvicinano ai pazienti psicotici.
Tendono ad utilizzare una difesa ostile per tentare di superare
le proprie limitazioni nell’area dell’integrazione
dell’identità, ad esempio esplosioni di collera per richieste di
routine, come compilare un questionario, rispondere a domande
dirette, sperimentare la posizione di grounding, etc.
Le persone con organizzazione borderline sono riconoscibili
dalla loro preoccupazione su temi di separazione-individuazione
(Nancy McWilliams, La Diagnosi Psicoanalitica, Astrolabio, Roma,
1999, parte I° - pag. 72).
La fase di separazione-individuazione è caratterizzata da un
costante aumento della consapevolezza della separazione fra Sé e
l'“altro”, che coincide con il sorgere di una sensazione del Sé,
di una vera relazione oggettuale e della consapevolezza di una
realtà nel mondo esterno. Margaret Mahler suddivide questa terza
fase evolutiva in quattro momenti successivi: differenziazione,
sperimentazione, riavvicinamento e individualità. Nella
sottofase di differenziazione è presente, in ogni bambino
normale, una tendenza a svincolarsi dalla madre: il bambino non
sta più costantemente in braccio come nella fase simbiotica, ma
compie i primi tentativi di distacco. La successiva sottofase,
quella di sperimentazione, si sovrappone alla precedente, ma
possiamo ascriverne l’inizio preciso all’acquisita capacità di
camminare carponi.
Con l’impulso della maturazione delle funzioni autonome, come il
pensiero e soprattutto la deambulazione, inizia “l’avventura
amorosa col mondo” (Greenancre, 1957). Il bambino compie il più
grande passo verso l’individuazione umana. Cammina liberamente
in posizione eretta. Così, il campo visivo cambia; da una
posizione completamente nuova scopre mutevoli e inaspettate
prospettive, soddisfazioni ma anche frustrazioni. L’investimento
libidico si sposta sostanzialmente al servizio dell’Io autonomo
e delle sue funzioni in rapida evoluzione, e il bambino sembra
inebriato delle sue facoltà e dalla vastità del suo mondo. Il
bambino si concentra nella sperimentazione e nella padronanza
delle proprie capacità autonome e indipendenti dalla madre o
dagli altri.
Margaret Mahler situa la “nascita psicologica” del bambino
proprio nella sottofase di sperimentazione, in particolar modo
nella sua seconda parte definita di “sperimentazione vera e
propria”, e la collega all’acquisizione della facoltà di
deambulazione: questo evento, dice la Mahler, “ha un grande
significato simbolico sia per la madre che per il bambino”
(Margaret Mahler, La nascita psicologica del bambino, Torino,
Bollati Boringhieri, 1989, - pag. 108).
Infatti, è come se il bambino fosse entrato nel mondo delle
persone indipendenti, di coloro che “camminano con le proprie
gambe”, la bioenergetica insegna quanto sia importante possedere
grounding
per muoversi sulle proprie gambe. È fondamentale, ora
come nel corso di tutta l’evoluzione psichica del bambino, che
la madre incoraggi la spinta all’autonomia del figlio, così come
ci ricorda Greenberg:
In concomitanza con l’esperienza della “nascita psicologica” del
bambino, la madre deve essere disposta a rinunciare al possesso
del corpo del figlio, se si vuole che lo sviluppo proceda in
modo soddisfacente. Deve essere disposta a permettere, e perfino
ad incoraggiare con gioia, la sua crescente capacità di operare
staccato da lei e il suo ingresso in un mondo eccitante e sempre
più esteso. (Greenberg, J. R., Mitchell, S. A., 1983, Le
relazioni oggettuali nella teoria psicoanalitica, Mulino,
Bologna, 1986 – pag. 275). Già alla fine di questo periodo,
all’incirca verso l’inizio del secondo anno di vita, appaiono le
manifestazioni del processo di separazione-individuazione. Alla
fine del primo anno e nei primi mesi del secondo si può notare
in modo particolarmente evidente che il processo di
separazione-individuazione ha due percorsi di sviluppo
intrecciati fra loro, ma che non sempre procedono in uguale
misura e in modo proporzionato.
- Il primo è il percorso dell’individuazione, l’evoluzione
dell’autonomia intrapsichica, ossia la percezione, la memoria,
il pensiero e l’esame di realtà.
- Il secondo è il percorso evolutivo intrapsichico della
separazione, che si svolge in termini di differenziazione,
allontanamento, formazione di confini e svincolamento dalla
madre.
Tutti questi processi di strutturazione finiranno per culminare
in rappresentazioni del Sé interiorizzate, distinte dalle
rappresentazioni oggettuali interne. Le situazioni ottimali
sembrano essere quelle in cui la consapevolezza della
separazione corporea, in termini di differenziazione dalla
madre, procede parallelamente (ossia senza un accentuato ritardo
né uno sviluppo troppo rapido) allo sviluppo del funzionamento
autonomo indipendente del bambino che comincia a camminare.
Ossia il pensiero, la percezione, la memoria, l’esame di realtà
ecc.; in breve, quelle funzioni dell’Io che servono
all’individuazione (Margaret Mahler, La nascita psicologica del
bambino, Torino, Bollati Boringhieri, 1989, - pag. 97, 98).
Traumi patiti dal bambino in questa importante fase possono
strutturare un livello borderline riferito ai disturbi di
personalità. Lo scopo della terapia con le persone con struttura
borderline è lo sviluppo di un senso di sé integrato, affidabile
e positivamente valutato, capace di avviare la persona verso la
capacità di amare pienamente gli altri, nonostante i loro
difetti e le loro contraddizioni. Le persone borderline possono
realizzare un graduale passaggio da una posizione capricciosa a
un più stabile ricorso alle proprie percezioni, sensazioni,
sentimenti e valori, nonostante le difficoltà che presentano ai
terapeuti, soprattutto nelle prime fasi del trattamento. Il
trattamento elettivo per le persone con un’organizzazione di
personalità borderline è la psicoterapia espressiva. (Nancy McWilliams, La Diagnosi Psicoanalitica, Astrolabio, Roma, 1999,
parte I° - pag. 101). La psicoterapia bioenergetica mira
all’integrazione dell’unità funzionale psiche-soma e utilizza
molteplici tecniche espressive, sia a livello verbale, sia a
livello corporeo, sia unendo il verbale ed il somatico (unità
funzionale psiche-soma). Masterson ritiene che i pazienti borderline siano rimasti
fissati alla sottofase di riavvicinamento del processo di
separazione-individuazione, quando il bambino ha raggiunto un
certo grado di autonomia, ma ha ancora bisogno di essere
rassicurato dalla presenza e dalla forza del genitore. Questo
dramma si manifesta nei bambini intorno ai due anni di età,
quando tipicamente oscillano tra il rifiuto dell’aiuto materno
(“Posso farlo da solo!”) e il loro sciogliersi in lacrime
aggrappati alle sue ginocchia. Masterson sostiene che i pazienti
borderline nelle loro storie individuali abbiano avuto madri
che: prima li hanno scoraggiati nel tentativo di separazione e
poi hanno rifiutato di rendersi disponibili, quando avevano
bisogno di regredire e dopo aver conquistato una certa
indipendenza. Che le sue ipotesi eziologiche siano corrette o
no, le sue osservazioni sui dilemmi di
separazione-individuazione in cui sono intrappolati i pazienti
borderline riescono a spiegare come mai siano così mutevoli,
esigenti e spesso ingannevoli. Nei soggetti borderline i transfert sono intensi, privi di
ambivalenza e resistenti alle normali interpretazioni. Il terapeuta può essere percepito totalmente buono o totalmente
cattivo. Se un terapeuta pieno di buone intenzioni, ma con poca
esperienza clinica, tenta di interpretare il transfert come si
farebbe con un nevrotico; ad esempio: ”Forse ciò che prova per mè è qualcosa che ha provato per suo padre”, si renderà conto
che a quella interpretazione non segue alcun sollievo o utile
comprensione; spesso il paziente sarà semplicemente d’accordo
sul fatto che il terapeuta si comporta effettivamente come
l’oggetto precedente. Inoltre, non è raro che un borderline in un certo stato mentale
percepisca nel terapeuta poteri e virtù divine, e in un altro
(che potrebbe presentarsi anche il giorno dopo) lo consideri
debole e spregevole. (Nancy McWilliams, La Diagnosi
Psicoanalitica, Astrolabio, Roma, 1999, parte I° - pag. 84)
Riguardo alle difese del paziente borderline, Hyman Spotnitz,
(29 settembre 1908 – 18 aprile 2008), il pioniere della
psicoanalisi moderna, propone di non attaccare le difese
all'inizio, ma anzi di assecondarle: è convinto che questo sia
l'unico metodo per trattare questi pazienti. Attaccarle
significherebbe infatti sovrastimolare il paziente, che
sentirebbe così la propria rabbia inconscia aumentare,
diventando di conseguenza ancora più resistente. Dopo
l'esplorazione della rabbia narcisistica, il paziente diventa in
grado di formare un transfert d'oggetto, per cui con il proseguo
dell'analisi è possibile applicare le tecniche interpretative
classiche. I tempi indicativi variano da persona a persona, ma
solitamente occorrono almeno 2-3 anni di analisi, se non 5.
Caratteristica della struttura psicotica di personalità Prima che emergesse la categoria “borderline”, a metà del XX°
secolo, i terapeuti di orientamento analitico seguivano Freud
nel differenziare solo tra il livello nevrotico e quello
psicotico di patologia, il primo caratterizzato da una generale
percezione della realtà, il secondo da una perdita di contatto
con la realtà. Una persona psicotica non considera di avere
qualcosa che non va in se, crede che sia il mondo a non essere
normale. La distinzione tra nevrotico e psicotico ha avuto
propagazioni cliniche importanti. La terapia dello psicotico
deve proporsi di rafforzare le difese, risolvere le
preoccupazioni primitive, modificare tutte le situazioni che
fossero realisticamente fonte di tensione in modo da diminuire
l’effetto negativo, incoraggiare l’esame di realtà. Il terapeuta
si trova in una situazione che ricorda quella nevrotica
all’opposto: metaforicamente, se il nevrotico è una pentola a
pressione con il coperchio troppo serrato che deve essere
allentato per fare uscire un po’ di vapore, lo psicotico è una
pentola traboccante e il compito del terapeuta consiste nel
rimettere il coperchio e, contestualmente, abbassare la
temperatura. La tendenza generale, dopo la scoperta degli psicofarmaci
antipsicotici, è quella di non considerare l’importanza della
terapia che strategicamente non attacca, ma sostiene le difese
dei pazienti psicotici in terapia. Il contrario di quanto è
utile con pazienti più sani. Questo modello di approccio,
seppure efficace, rappresenta una risposta pietosa a livelli
psicotici di angoscia e afferma che la cura farmacologica può
rappresentare un’indispensabile barriera e che dovrebbe
accompagnare lo psicotico per tutta la vita. Con i pazienti
psicotici non è possibile fare una terapia mirata all’emergere
dell’inconscio: disturberebbe le loro fragili difese e potrebbe
proiettarli nuovamente oltre il confine. Diventa sempre più
complesso per il clinico valorizzare e sentire le sfumature
individuali. Un operatore sensibile si dovrà confrontare con un
modello d’intervento, certamente efficace e probabilmente
indispensabile per consentire al paziente psicotico una vita
meno drammatica, ma nel contempo grossolano, al quale affiancare
un'attenzione che sfavorisca la
costruzione di idee su quale tipo di relazione umana risulterà
terapeutica e, soprattutto, per quel tipo di essere umano.
Dott. Cosimo Aruta
Psicologo, Psicoterapeuta, Analista Bioenergetico, Supervisore
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Lombardia con il n° 12147
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