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Transfert e controtransfert
Il transfert (o traslazione) è un meccanismo mentale per il
quale ogni individuo tende a spostare schemi di sentimenti e
pensieri relativi ad una relazione significante su una persona
coinvolta in una relazione interpersonale attuale. Il processo è
largamente inconscio, il soggetto non comprende completamente da
dove originino tali emozioni, sentimenti e pensieri. Il
transfert è fortemente connesso alle relazioni oggettuali della
nostra infanzia e le ricalca. Il transfert è presente in ogni
tipo di relazione interpersonale; per il trattamento terapeutico
rappresenta la sua cornice, all’interno della quale emergono le
rappresentazioni e le immagini del paziente. In psicoanalisi
questo meccanismo naturale viene utilizzato per i processi della
terapia.
Il transfert è una normale proiezione che può essere positiva
(transfert positivo), con connotazioni di stima, affetto, amore
per il partner della relazione, oppure avere una valenza
negativa (transfert negativo) quando le emozioni messe in gioco
dal transfert sono per lo più di competitività, invidia,
gelosia, aggressività.
Nell'ambito del colloquio clinico, nella relazione tra
analizzato e analista, viene comunemente usato il termine di
transfert al posto di quello di proiezione (ossia
l’attribuzione, riconoscimento cosciente, dei propri sentimenti
e affetti non accettati all'esterno, su un altro oggetto o
sull'intero ambiente. Opera di frequente assieme alla scissione
delle proprie qualità ritenute "buone" e "cattive", ed in cui
vengono proiettate all'esterno le ultime. Meccanismo alla base
della paranoia. La proiezione è il processo per cui qualcosa di
interno viene considerato proveniente dall’esterno. Nelle sue
forme positive e mature, è la base dell’empatia. Nelle sue forme
sfavorevoli, la proiezione provoca pericolosi fraintendimenti e
profondi problemi interpersonali).
La relazione tra analista e analizzato è infatti paragonabile a
una qualsiasi storia d'amore, dove forze di attrazione e anche
forze di repulsione hanno modo di dispiegarsi.
In questo gioco di forze emotive affettive anche l'analista è
pienamente coinvolto, si parla di controtransfert per intendere
la reazione immediata emotiva e affettiva al transfert del
paziente da parte di chi dovrebbe sostenere la funzione. Il controtransfert, considerato all'inizio della psicanalsi
freudiana solo come un elemento di disturbo del processo
terapeutico, ha assunto via via un ruolo sempre più importante
fino a diventare uno strumento fondamentale per la terapia.
Ferenczi (1919) fu fra i primi a criticare la posizione
freudiana dell’analista come specchio. Egli suggerì che
l’analista dovesse esporre e discutere con il paziente le
proprie reazioni, presupponendo quindi che il transfert del
paziente evochi delle risposte (alcune delle quali disagevoli).
Queste critiche a Freud gettarono le basi per le idee degli
autori che seguirono. Adolph Stern, tra i primi psicoanalisti
americani a fare training analitico con Freud, pubblicò il primo
saggio sul controtransfert nel 1924, distinguendone due forme
risultanti rispettivamente da: 1) i problemi irrisolti
dell’analista e 2) le sue relazioni ai transfert del paziente.
Carl G. Jung e Wilhelm Reich, entrambi membri del circolo
interno freudiano, in un secondo momento presero le distanze da
lui per motivi teorici. Reich ampliò le categorie diagnostiche
includendovi il masochismo e la schizofrenia, e polemizzò con
l’idea freudiana dell’esistenza di un istinto di morte. Inoltre
sottolineò il possibile danno arrecato al rapporto terapeutico
qualora gli analisti fossero inconsapevoli delle proprie
emozioni (Reich 1933).
Jung avanzò l’ipotesi che l’analista fosse uno schermo
disponibile alla proiezione e che il transfert avesse origine da
un’attualizzazione nevrotica del passato del paziente.
L’analista doveva affrontare, indagare e integrare questo
materiale. Riteneva anche che l’analista fosse in analisi tanto
quanto il paziente. Data l’interazione fra due sistemi aperti,
la difficoltà consisteva nell’esigenza che il cambiamento
avvenisse in entrambi i sistemi. Il terapeuta, addossandosi con
pronta intelligenza e buona volontà la carenza psichica del
paziente, si espone ai contenuti che premono dall’inconscio, e
quindi anche alla loro azione induttiva. Siccome il paziente
porta al terapeuta un contenuto attivato dall’inconscio, anche
nel terapeuta viene costellato, per un effetto di induzione che
nasce più o meno sempre dalle proiezioni, il materiale inconscio
corrispondente. In tal modo terapeuta e paziente si trovano in
un rapporto fondato su una comune incoscienza (Jung 1946).
Questo processo che rende possibile l’identificazione, tanto
proiettiva (processo di proiezione delle qualità percepite come
"cattive" dell'Io sull'oggetto relazionale, e successiva
identificazione al fine di esercitare un controllo, spesso
aggressivo su di esso. Proiettando sull'altro le proprie qualità
inaccettabili, l'Io può sviluppare l'illusione di poterle
dominare dall'esterno. È un meccanismo di difesa complesso, che
opera in seguito ad una scissione), che introiettiva, (per
identificazione introiettiva si intende la modalità attraverso
la quale la realtà esterna viene da noi assimilata e che, con il
passar del tempo, modifica i nostri modelli percettivi), è la
base di quell’empatia tanto necessaria per la terapia.
L’analista introietta le proiezioni del paziente in quanto
organo ricevente, e può trovare una soluzione scoprendo in se
stesso la propria relazione con lui. L’analista avrà sempre
bisogno di analisi, sulla base dell’idea junghiana di inconscio
collettivo, esso è infinito, abbiamo in comune la nostra
umanità. Abbiamo i “ganci” su cui si innestano le proiezioni del
transfert.
Non possiamo influenzare i nostri pazienti se non siamo disposti
a farci influenzare da loro. Jung sottolineò più volte
l’universalità del controtransfert e del transfert,
interattività reciproca del processo terapeutico. (Patrizia
Moselli, Il guaritore ferito, Franco Angeli, Milano, 2008, cap.
II° - pag. 53) Nell'analisi bioenergetica è sempre prevalsa quest'ultima
impostazione ed il controtransfert è stato considerato un
indispensabile strumento diagnostico e terapeutico. Per
Alexander Lowen transfert e controtransfert sono il ponte
attraverso il quale le idee e le sensazioni fluiscono tra due
persone. Nella terapia bioenergetica il contatto fisico mette
più chiaramente a fuoco sia il transfert che il controtransfert
e richiede anche una maggiore abilità dell’analista nel trattare
le risultanti tensioni emotive.
Se un paziente si sente capito, si costruisce tra lui ed il
terapeuta un legame asimmetrico, il terapeuta aiuta ed il
paziente è aiutato. In questa profonda relazione di aiuto il
terapeuta “tira” il paziente oltre la sua confusione, che deriva
dall’incapacità dei suoi genitori a considerarlo come un
bambino, un essere umano libero ed immerso nella natura, senza
la malizia dei costrutti di noi adulti. In questo modo il suo
processo di crescita si è intriso dalla sensazione di essere
sbagliato, d’essere colpevole, cattivo, ostile, ingrato, ed ogni
altra considerazione negativa, compresa quella di considerarsi
un mostro. Proprio perché i suoi genitori non lo accettavano per
quello che era veramente, cioè un essere innocente, ha dovuto
credere che ciò che dicevano di lui fosse vero. Se un bambino
non è amato, si sente inadatto ad essere amato. Sentendosi
inadatto ad essere amato, non è amabile e quindi incapace
d’amare.
In una tale situazione, dire al paziente che può essere amato,
che tutto va bene, significa essere cieco alla sua confusione,
al suo dolore ed alla sua disperazione. Non sentire la sua
rabbia, spesso presente sotto forma di rabbia omicida, significa
fallire nella comprensione della lotta del paziente per trovare
la sua identità ed il suo Sé. Il terapeuta potrebbe rimanere
nella posizione di considerare che sta al paziente rivelare e
descrivere il suo problema interiore; ma se un paziente potesse
fare ciò, perché avrebbe bisogno dell’aiuto di un terapeuta? I
pazienti sanno che c’è qualcosa che va male, perché non si
sentono bene e non sono in grado di venirne a capo, ma sono
confusi.
Gli sforzi dei pazienti per agire e comportarsi come i
loro genitori volevano gli impedisce di trovare gioia e
realizzazione nella vita.
Agire in contrapposizione a queste richieste, ribellarsi
all’autorità non apporta una migliore soluzione. Sia l’uno che
l’altro di questi atteggiamenti portano ad una lotta che
perpetua la disperazione. Il problema è che il paziente ha perso
o abbandonato il suo Sé e non ha una guida interiore che lo
aiuti ad agire in un modo positivo per se stesso. Sentendosi
confuso, si rivolge a un terapeuta in modo da essere guidato
nella ricerca del suo Sé. In questa ricerca il terapeuta è una
guida.
Ma una guida è valida solo nella misura in cui ha familiarità
con il terreno attraverso il quale dovrà guidare la persona.
Acquisirà questa conoscenza solo se avrà personalmente esplorato
questo terreno ed avrà trovato la via per raggiungere il proprio
Sé; cioè quel Sé che ha abbandonato quando, bambino, ha perso la
sua innocenza. Perdendo l’innocenza ha perso anche la capacità
di vedere con gli occhi chiari e innocenti del bambino.
Ci sono pazienti che non desiderano mostrare e lavorare con il
corpo, tuttavia, è possibile lavorare come terapeuti
bioenergetici osservando il corpo nelle sue manifestazioni
spontanee: la postura, la gestualità, il tono della voce, la
simmetria o l’asimmetria di più parti del corpo, soprattutto del
viso, l’armonia o la disarmonia delle regioni del corpo, etc. Il
rifiuto ad esporsi e rivelarsi nella relazione terapeutica è
un’espressione di resistenza e di transfert, può essere
considerato come una
diffidenza
verso il terapeuta. Diffidenza
giustificata quando sono in atto situazioni sconosciute controtransferali, dove i corpi sono osservati come oggetti
sessuali. Se il terapeuta non è a suo agio nel suo corpo e con i
sentimenti che prova, eviterà, consciamente o inconsciamente,
d’avere a che fare con il corpo e i sentimenti dei suoi
pazienti. Così, se il suo corpo è rigido, avrà la tendenza ad
ignorare la rigidità che è presente nel corpo del paziente. Se
il suo viso è teso e mascherato, eviterà di confrontare il
paziente con un’espressione simile presente sul suo volto. Se il
suo corpo manca
di agilità e di grazia, sarà restio a portare
l’attenzione sulla mancanza di grazia e di agilità del corpo dei
suoi pazienti. Se presta attenzione a queste perturbazioni nel
suo paziente, dovrà poter considerare le sue deficienze allo
stesso proposito. Nella misura in cui ignora i suoi problemi
corporei, sarà cieco a quelli dei suoi pazienti. Si tratta di
controtransfert, poiché ciò significa che il paziente è
considerato in funzione dei valori del terapeuta. Se un
terapeuta pensa che le emozioni devono essere controllate,
proietterà questa credenza sul suo paziente, esplicitamente o
implicitamente. Ma il suo tono di voce piatto e controllato
trasmette un messaggio che il paziente non può ignorare.
Dall’altra parte, se il terapeuta presenta un’attitudine che
esprime che ogni emozione è accettabile, influenzerà il paziente
che è portato ad una tale attitudine. Molti pazienti comunicano
di non poter esprimere sentimenti intensi perché temono che il
terapeuta non sia stato in grado di comprenderli e gestirli.
Poiché la stessa cosa accadeva nella loro infanzia, sono preda
del medesimo dilemma e si trovano nello stesso conflitto che
avevano vissuto da bambini.
Vi sono dunque due aspetti nel problema del controtransfert: uno
è un’incapacità a vedere il paziente per com’è veramente, e
l’altro è la proiezione inconsapevole dei valori del terapeuta
sul paziente e la terapia. I due aspetti derivano dallo stesso
problema del terapeuta, cioè dal sapere che è stato strutturato
dalla sua storia e dalla sua formazione, che gli hanno rubato
l‘innocenza e distrutto la sua libertà.
Una psicoterapia che crede nel potere dello spirito razionale
per guarire la malattia dell’anima dell’uomo moderno è irreale.
Ignora il ruolo potente delle emozioni nella vita umana e il
fatto che le emozioni sono la vita del corpo, come i pensieri
sono la vita dello spirito. Non si possono creare sentimenti
attraverso un processo mentale. Nessuno può innamorarsi
attraverso un qualsiasi atto del pensiero consapevole. Non
possiamo provare rabbia con un atto di volontà. Ed
evidentemente, non possiamo provare gioia con un qualunque tipo
di ginnastica mentale.
Il pensiero consapevole può sopprimere il sentimento, ma non può
provocarlo.
Ciò non significa che il pensiero non ha alcun ruolo nel
processo analitico, ma ciò significa che questo ruolo si limita
alla comprensione di ciò che è accaduto. Il cambiamento può
avvenire solo se una forza ed un’energia sufficiente sono
mobilizzate per eliminare i legami che imprigionano lo spirito.
Questi legami sono fisici ed esistono nel corpo sotto forma di
tensioni muscolari croniche, che bloccano il completo fluire
dell’eccitazione nel corpo così come la completa espressione dei
sentimenti. La riduzione di queste tensioni cambia la forma e la
motilità del corpo. La sua forma diventa più bella ed il suo
movimento più aggraziato. E’ solo nella misura in cui possiamo
osservare questi cambiamenti nel corpo che possiamo parlare di
significativo miglioramento.
Se il problema del controtransfert risiede nell’incapacità del
terapeuta di vedere le realtà della vita del corpo, questo è
anche il problema del paziente in termini di transfert. Il
cambiamento può avvenire solo quando il paziente acquisisce la
capacità di capirsi e sviluppa un vero amore per se stesso. La
comprensione e la cura del terapeuta sono condizioni necessarie
perché ciò accada, ma non bastano a produrre il risultato
desiderato. Il paziente non può ricevere e rispondere all’amore
ed alla comprensione del terapeuta perché è chiuso in forti
tensioni muscolari croniche che gli impediscono di aprirsi a
tali sentimenti.
Nella nostra cultura, quasi tutti i bambini soffrono di una
certa quantità di mancanza di contatto e di sostegno amorevole
da parte dei genitori. La lamentela più comune dei pazienti è
che la loro madre, o il loro padre, non era lì per loro quando
ne avevano bisogno. Questo sentimento di bisogno dell’altro è
trasferito sul terapeuta o, nella relazione di coppia, sulla
moglie o sul marito. Il bisogno dell’altro non può essere
soddisfatto annullando se stessi in una relazione adulta,
occorre incontrare l’altro stando su di sé e in contatto con sé,
in modo differenziato e non fuso.
La fusione emotiva illustra l’intolleranza verso i confini e la
separazione dalle persone che amiamo. Il desiderio di possedere
il nostro partner è in se stesso frustrato dal fatto immutabile
che siamo due persone fondamentalmente separate (benché
interrelate). E’ possibile osservare la fusione emotiva dai
danni che facciamo nelle relazioni, nell’incapacità di
separarci, di lasciar perdere quando siamo nervosi. Gli
avvenimenti più celebrati dai media sono spesso delle storie
tragiche che implicano una fusione emotiva, come il caso della
signora che ama ancora il marito dongiovanni da decenni e crede
nella sua innocenza contro ogni evidenza, o, nei casi più gravi,
la tragedia celebrata nel famoso film: “La guerra dei Roses”.
La differenziazione comporta l’equilibrio di due forze vitali
basilari: la spinta all’individualità e la spinta alla
relazionalità. L’individualità ci spinge a seguire le nostre
direttive, a stare per conto nostro, a creare un’identità unica.
La relazionalità ci spinge a seguire le direttive degli altri,
ad essere parte del gruppo. Quando queste due forze vitali,
verso l’individualità e la relazionalità, sono espresse in modo
equilibrato e sano, il risultato è una relazione significativa
che non si deteriora in fusione emotiva. Abbandonare la propria
individualità per restare uniti è a lungo termine fallimentare,
come abbandonare la relazione per mantenere la propria
individualità. La differenziazione quindi è la capacità di
mantenere il senso del Sé quando siamo emotivamente e/o
fisicamente vicino agli altri, specialmente quando essi
diventano sempre più importanti. Riguardo la sessualità tra
partner d’amore, certamente il sesso può essere “farò questo per
te se tu farai quest’altro per me”, ma che misero
mercanteggiamento. Una carezza dovrebbe dire “ti amo”, non
saldare un debito. Un abbraccio dovrebbe riempire il cuore come
le braccia. (Daniel Schnarch, 1977, La passione nel
matrimonio, Cortina Edizioni, Milano, 2001, pag. 155)
Nella terapia, di fronte a questo meccanismo di sradicamento
occorre riconoscere il livello di bisogno riferito all’altro e
provato dal paziente, ma facendogli notare che ciò di cui ha
bisogno, in realtà, è di se stesso (in un processo che parte
dalla fusione verso la differenziazione). Se una persona può
ricorrere a se stessa, non ha bisogno dell’altro. Può sentire di
desiderare d’essere vicina agli altri, anche molto vicina ad un
altro in particolare, ma non c’è disperazione in questo
desiderio.
Chi ha bisogno dell’altro è disperato. Il fine della terapia, e in modo particolare dell’analisi
bioenergetica, è di aiutare l’individuo a scoprirsi da solo.
Così facendo perverrà prima alla consapevolezza di sé, come base
per avanzare verso l’espressione, fino a raggiungere la
padronanza di se stesso, del proprio vero Sé. La chiave di
questo lavoro è il corpo, che è la persona nella sua interezza.
Man mano che il corpo diventa più vivo, la persona lo sente
maggiormente ed è più spontanea nell’espressione dei suoi
sentimenti, così come è più identificata e più padrona delle sue
azioni.
Dott. Cosimo Aruta
Psicologo, Psicoterapeuta, Analista Bioenergetico
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Lombardia con il n° 12147
Studio di psicologia, psicoterapia, consulenza di coppia, mediazione familiare a Milano
psicoterapia individuale - cura dell’ansia, della depressione, dello stress del disagio relazionale ed esistenziale psicoterapia di coppia
- meccanismi inconsci possono condizionare gioie, liti,
conflitti, tradimenti e incomprensioni familiari
psicoterapia di gruppo
- di analisi bioenergetica, la conduzione che si struttura anche attraverso il linguaggio del corpo
colloquio psicologico
- è un incontro tra uno psicologo e una persona che lo contatta a causa di un malessere
ansia e attacchi di panico
- la respirazione corta è condizionata da difese caratteriali
per la sopravvivenza infantile
depressione, calo di energia - inchioda l'individuo,
tristezza, sconforto, disagio, malinconia, si impossessano di
lui
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e auto espressione, paura che i due elementi possano escludersi
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